Gli studi scientifici situano
le faggete ad una quota che, di solito, è superiore ai 1000 m.s.l.m. nell’Italia
peninsulare. Come tutti sanno, evidentemente a parte la Regione, nel Lazio
questa quota scende in alcuni rari casi dando luogo alle cosiddette faggete
depresse site a quote inferiori agli 800 m.s.l.m.
Ora, affermare che le faggete
depresse nel Lazio stiano sotto i 300 m.s.l.m. è una follia antiscientifica:
purtroppo è stato approvato una modifica all’art. 34 bis delle norme in materia
di gestione delle risorse forestali (L.R.
39/2002) che modifica la definizione di faggete depresse ponendole proprio
ad un altitudine inferiore i 300 m.s.l.m.
Questa modifica vanifica di
fatto l’obiettivo di sottrarre alle utilizzazioni forestali tali ecosistemi
esponendo al taglio faggete come quelle circostanti il Lago di Vico.
Sono perciò a rischio tutte le
faggete in provincia di Viterbo che trovandosi sotto gli 800 m.s.l.m., prima
della modifica, erano tutelate in maniera particolare e soprattutto ne era
vietato il taglio come recita il comma 3 dell’art. 34 bis della suddetta L.R.
39/2002: “Per le faggete depresse (…) sono vietate le utilizzazioni per
finalità produttive fatto salvo i tagli necessari per la conservazione della
faggeta o per motivi di pubblica incolumità”.
Ora tutto questo è stato spazzato
via dagli stessi che, da una parte, spendono 12 milioni di euro in tre anni per
piantare alberi con il progetto
Ossigeno, dall’altra, promuovono di fatto, il taglio di ecosistemi
esistenti che sono importanti serbatoi di C02 a testimonianza di una grande
resilienza a quei cambiamenti climatici che mai come ora sono così evidenti a
tutti.