giovedì 9 maggio 2019

La sindaca senza Stato




Riporto l'editoriale di Marco Travaglio pubblicato oggi 9 maggio 2019 su Il Fatto Quotidiano


Siccome siamo in Italia, tutti si domandano se sia il caso di impedire ai fascisti (di Casa Pound e non solo) di fare cose lecite, tipo aprire una casa editrice, pubblicare un libro di Salvini, allestire uno stand al Salone di Torino. 

Intanto i fascisti (di Casa Pound e non solo) continuano indisturbati e impuniti a fare cose illecite: tipo occupare un palazzo del Demanio da 15 anni in via Napoleone III a Roma. O scatenare rivolte, gazzarre e spedizioni punitive contro rom e migranti. E ora addirittura assediare e minacciare (“Troia, ti stupro”, “Vi vogliamo vedere tutti impiccati”, “Bruciamoli vivi”) per tre giorni una famiglia di nomadi bosniaci – madre, padre e due bimbi – “colpevoli” di aver preso possesso di una casa popolare a Casal Bruciato, regolarmente assegnata dal Comune in base alle leggi vigenti: un bando di Alemanno (!) del 2012. 

E ieri circondare e insultare Virginia Raggi, con epiteti di cui i più gentili sono “mafiosa” e “schifosa”, per aver osato portare la solidarietà del Comune a quegli sventurati e affermare il loro sacrosanto diritto a un alloggio popolare legalmente ottenuto. Con la sindaca, che li ha invitati a resistere alla paura e alla tentazione di tornare nei campi, c’erano i vigili urbani che li sfamano durante l’assedio, nonché il direttore e i volontari Caritas, e il vescovo Gianpiero Palmieri. Che ha dichiarato, anche lui fra gli insulti: “È una brava famiglia che lavora, persone oneste. Se neanche una famiglia così riesce a essere integrata, non si sa come si può fare. Prima di arrivare dicevano di voler dare una festa con tutto il condominio, ma il primo giorno nella nuova casa i bambini l’hanno passato abbracciati in un angolo”. “Questa famiglia – ha tentato di spiegare la sindaca, fra urli, improperi e minacce – risulta legittima assegnataria di un alloggio. Ha diritto di entrare e la legge si rispetta. 

Siamo andati a conoscerli e sono terrorizzati. Abbiamo avuto modo di farli conoscere ad alcuni condòmini. Chi insulta i bambini e minaccia di stuprare le donne dovrebbe farsi un esame di coscienza. Non è questa una società in cui si può continuare a vivere”. 

I media continuano a spacciare il tutto come “guerra tra poveri”. Ma questa è una guerra fra legalità e sopruso, fra chi rispetta le regole e chi vuole sostituirle con la legge del più forte. 

E il nuovo prefetto Gerarda Pantalone dovrebbe spiegare perché quei due bimbi coi loro genitori devono vivere questo inferno. Perché il presidio eversivo sotto casa non viene sciolto dalle forze dell’ordine. Perché manipoli di trogloditi senza capelli e senza cervello possono terrorizzare impunemente quei cittadini onesti. 

Già, perché quei rom non c’entrano nulla con altri dediti a furti, accattonaggi e sfruttamenti di minori (tutti reati da perseguire). In quale Paese, in quale capitale d’Europa, sarebbe consentito a orde di facinorosi di intimidire una sindaca, un vescovo, volontari, sindacalisti impegnati sul diritto alla casa, aizzare all’odio e alla violenza interi quartieri senza che arrivi qualcuno in divisa a disperderli con le buone o le cattive e ad accompagnare in guardina chi commette reati? Non in nome dell’antifascismo, ma dello Stato. Che ha un Codice penale. Che, con buona pace di Salvini, vale dappertutto e per tutti. 

Di Maio si è infuriato con la sindaca, che gli avrebbe rovinato la vittoria sul caso Siri a 18 giorni dal voto, dando modo a Salvini di riattaccare la solita solfa sui rom. Ma questo è il momento dei segnali forti, e quello dato ieri dalla Raggi deve rendere orgogliosi i romani e il M5S: come quello dell’altra sindaca Chiara Appendino che, col plauso di Di Maio, ha denunciato insieme al governatore Chiamparino l’editore di Casa Pound per apologia del fascismo. 

A Roma il ricollocamento dei rom sul territorio risponde a una scelta della giunta – superare i campi – che non solo è sacrosanta, ma pure imposta dall’Ue che ha condannato l’Italia per violazione delle norme che proibiscono i centri di raccolta su base etnica. Anche se Veltroni li chiamava “Villaggi della solidarietà” e Alemanno “Villaggi attrezzati”. La famiglia di Casal Bruciato viene da 20 anni nella baraccopoli della Barbuta e ha accettato la proposta del Comune, che però fatica a ricollocare gli altri 500 rom nei quartieri per il sistematico sabotaggio fasciorazzista, che fa leva sul disagio dei residenti. Questi, abbandonati dalle istituzioni dalla notte dei tempi, hanno ragione di diffidare, anche alla luce delle molte situazioni di illegalità e degrado di cui si macchiano molti rom. Ma andrebbero aiutati a capire che i nomadi sono in gran parte italiani o comunitari, dunque non esistono soluzioni per farli sparire dalla loro vista: se nessuno vuole i ghetti incontrollabili, l’unica alternativa sono i ricollocamenti a piccoli nuclei, per rendere meno traumatico l’impatto sociale. E una repressione severa e costante dei reati: dei rom che delinquono e degli anti-rom che pescano nel torbido. 

La Raggi ci ha messo la faccia, e a caro prezzo, come già con gli abbattimenti delle case abusive del clan nomade Casamonica. E accanto a lei avrebbe dovuto avere il ministro dell’Interno. 

Ma Salvini ha sempre di peggio da fare che occuparsi del suo dovere d’ufficio: molto meglio sbraitare “basta rom”, senza indicare uno straccio di soluzione praticabile. Nella speranza di far dimenticare il suo predecessore e compagno di partito Bobo Maroni, che dal Viminale finanziava, su richiesta di Alemanno, i campi nomadi con 30 milioni l’anno, per la gioia di Mafia Capitale. 

Dunque la prossima volta, accanto ai rom onesti e alla sindaca che difende i principi di legalità e di umanità contro il sopruso e il razzismo, dovrebbe esserci Di Maio. Anche a costo di perdere qualche voto. 

La legalità e l’umanità sono molto più importanti di qualsiasi elezione e di qualunque sondaggio.